Le
canzoni di un cantante
Di
recente ascoltavo le canzoni di un noto cantante italiano e mi
rammaricavo per la frivolezza e la banalità delle melodie e dei
testi. Rime scontate, costruzioni sintattiche abusate (”io o “mio”
alla fine di un verso mi sembrano sempre il lampante segnale di una
mediocre vena compositiva... Non potrò scordarti io... Tu che sei
l'amore mio...), prevedibilità di accordi e ritornelli. Tra l'altro
una delle canzoni in questione, scritta da un uomo ma cantata da una
donna, aveva evidenti problemi di rime e di concetto, poiché i
maschili erano stati tutti trasformati in femminili e pertanto
decadevano le assonanze con le parole terminanti in “o”
(Cercavo... Brava...). Ora, non che il cantante in questione fosse
mai stato particolarmente ricercato nell'impostazione, ma mi sembrava
stesse rasentando bassezze a buon mercato comunque indegne di lui.
Poi
lo scorgo in un noto programma televisivo e mi soffermo per vedere se
darà spiegazione delle sue opere. L'intervistatrice gli chiede
appunto motivo di queste scelte, riportando le sensazioni di molti
spettatori che alla fine dei suoi concerti si sentivano, a detta
loro, contenti.
E
lui dice che negli ultimi anni ha sofferto molto, come non gli era
mai capitato prima e ha deciso di non trasformare quel dolore in
canzoni drammatiche e pesanti. Ha deciso invece di fare il possibile
per produrre contentezza, per rendere felici le persone che lo
ascoltano, che lo seguono, che vanno ai suoi concerti. Si è
impegnato in una militanza nel tentativo di produrre vitalità.
Allora
l'ho capito e mi è stato bene.
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