giovedì 19 luglio 2012


Le canzoni di un cantante

Di recente ascoltavo le canzoni di un noto cantante italiano e mi rammaricavo per la frivolezza e la banalità delle melodie e dei testi. Rime scontate, costruzioni sintattiche abusate (”io o “mio” alla fine di un verso mi sembrano sempre il lampante segnale di una mediocre vena compositiva... Non potrò scordarti io... Tu che sei l'amore mio...), prevedibilità di accordi e ritornelli. Tra l'altro una delle canzoni in questione, scritta da un uomo ma cantata da una donna, aveva evidenti problemi di rime e di concetto, poiché i maschili erano stati tutti trasformati in femminili e pertanto decadevano le assonanze con le parole terminanti in “o” (Cercavo... Brava...). Ora, non che il cantante in questione fosse mai stato particolarmente ricercato nell'impostazione, ma mi sembrava stesse rasentando bassezze a buon mercato comunque indegne di lui.
Poi lo scorgo in un noto programma televisivo e mi soffermo per vedere se darà spiegazione delle sue opere. L'intervistatrice gli chiede appunto motivo di queste scelte, riportando le sensazioni di molti spettatori che alla fine dei suoi concerti si sentivano, a detta loro, contenti.
E lui dice che negli ultimi anni ha sofferto molto, come non gli era mai capitato prima e ha deciso di non trasformare quel dolore in canzoni drammatiche e pesanti. Ha deciso invece di fare il possibile per produrre contentezza, per rendere felici le persone che lo ascoltano, che lo seguono, che vanno ai suoi concerti. Si è impegnato in una militanza nel tentativo di produrre vitalità.
Allora l'ho capito e mi è stato bene.

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