giovedì 26 aprile 2012


Fagiolini

Le verdure cotte in generale non mi soddisfano, a meno che non siano il condimento di qualcosa, oppure molto insaporite da spezie o aceto o olii di vario genere. In questo modo posso abbozzare su zucchine, melanzane, spinaci, anche il cavolo. Ma con i fagiolini proprio non ce la faccio. E forse so anche il perché.
Uno dei miei ricordi d’infanzia più nitidi risale al tempo della scuola materna. Ci sono io, seduto al tavolino del pranzo mentre tutti gli altri sono già tornati a giocare. C’è la mia maestra, G., che mi costringe a mangiare un piatto per me enorme di fagiolini saltati. La vedo incombere su di me mentre mi ingozzo di pane nel tentativo di mascherare il disgusto per quei vermicelli sguignoli. Ho la bocca che mi scoppia, non riesco a mandare giù. Non c’è spazio nemmeno per l’acqua. Mi metto a piangere ed inizio a far cadere bocconi informi sul vassoio rosa mentre mi porto la forchetta vicino al mento per cercare di arginare la catastrofe.
Alla fine arriva R., un’altra maestra, che prende in mano la situazione, mi porta in bagno per sputare tutto e poi mi dice che posso andare in cortile con i miei compagni.
L’anno successivo la maestra G. non si è più vista in quella scuola.
Da grande ho cercato di razionalizzare quell’ovvia, profonda avversione, ma con scarsi risultati. Ho provato più volte a farmeli piacere, convinto che un episodio come quello non fosse sufficiente a generare un odio immortale. Li ho assaggiati, a più riprese, ma proprio non mi piacciono, come allora. È una questione tattile. Così come con il budino e le pesche sciroppate, il mio palato non tollera le sostanza viscide e scivolose. Mi si chiude l’esofago immediatamente e lo stomaco si predispone al rigetto.
Forse questa è la sede giusta per sfatare un mito. Mamma, nonna, zie: le verdure mi piacciono! Però non tutte. I fagiolini ad esempio, direi di no.

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