Fagiolini
Le
verdure cotte in generale non mi soddisfano, a meno che non siano il
condimento di qualcosa, oppure molto insaporite da spezie o aceto o
olii di vario genere. In questo modo posso abbozzare su zucchine,
melanzane, spinaci, anche il cavolo. Ma con i fagiolini proprio non
ce la faccio. E forse so anche il perché.
Uno
dei miei ricordi d’infanzia più nitidi risale al tempo della
scuola materna. Ci sono io, seduto al tavolino del pranzo mentre
tutti gli altri sono già tornati a giocare. C’è la mia maestra,
G., che mi costringe a mangiare un piatto per me enorme di fagiolini
saltati. La vedo incombere su di me mentre mi ingozzo di pane nel
tentativo di mascherare il disgusto per quei vermicelli sguignoli. Ho
la bocca che mi scoppia, non riesco a mandare giù. Non c’è spazio
nemmeno per l’acqua. Mi metto a piangere ed inizio a far cadere
bocconi informi sul vassoio rosa mentre mi porto la forchetta vicino
al mento per cercare di arginare la catastrofe.
Alla
fine arriva R., un’altra maestra, che prende in mano la situazione,
mi porta in bagno per sputare tutto e poi mi dice che posso andare in
cortile con i miei compagni.
L’anno
successivo la maestra G. non si è più vista in quella scuola.
Da
grande ho cercato di razionalizzare quell’ovvia, profonda
avversione, ma con scarsi risultati. Ho provato più volte a farmeli
piacere, convinto che un episodio come quello non fosse sufficiente a
generare un odio immortale. Li ho assaggiati, a più riprese, ma
proprio non mi piacciono, come allora. È una questione tattile. Così
come con il budino e le pesche sciroppate, il mio palato non tollera
le sostanza viscide e scivolose. Mi si chiude l’esofago
immediatamente e lo stomaco si predispone al rigetto.
Forse
questa è la sede giusta per sfatare un mito. Mamma, nonna, zie: le
verdure mi piacciono! Però non tutte. I fagiolini ad esempio, direi
di no.
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