Muretto
F.
era seduto sul muretto e da circa una mezz’ora tormentava B.,
ripetendogli continuamente: “Dai, dammi un pugno in faccia, dammi
un pugno in faccia!”. La piazza si stava svuotando dopo il concerto
e la collinetta era ricoperta di bottiglie mezze vuote e pacchetti di
sigarette accartocciati. Ci stavamo godendo la serata tiepida di metà
maggio, convinti che sarebbe finita come al solito, con qualche birra
di troppo e un’ultima passeggiata sotto i portici.
Poi
ci fu uno schiocco agghiacciante e vidi F. con la testa china che
sputava sangue. Per un attimo non capii bene cosa stesse accadendo.
Nessuno si mosse. F. scese dal muretto, e andò incontro a B. con il
labbro proteso in una posa innaturale. Si fermò a un passo da lui,
la faccia piantata sulla sua. Poi lo abbracciò ed iniziò a
ripetere, quasi piangendo: “Grazie, grazie!”. B. era allibito e
dispiaciuto e imbarazzato allo stesso tempo. Scostò F. e si mise a
implorarlo: “Adesso dammelo tu!”. La cosa andò avanti per
qualche minuto finché lo zigomo destro di B. ricevette il suo
compenso. I due si abbracciarono di nuovo, sporcandosi a vicenda le
maglie di sangue fresco.
S.
è cintura nera di judo. A casa spesso si diverte a lottare con M.,
che di judo non ne ha un’idea. Buttano i cuscini del divano per
tutta la sala e poi ci si rotolano sopra. S. sa come prenderti e
farti cadere senza che nessuno dei due si faccia male, perciò il
gioco può andare avanti senza problemi anche per ore. Ma qui non ci
sono i cuscini ed entrambi hanno bevuto parecchio. Il risultato è
che al terzo assalto S. afferra M. ai fianchi e inizia a girare con
lui, sempre più velocemente, fino a quando perde la presa e M. vola
senza controllo e di faccia contro il cemento. Il suo atterraggio è
quasi parallelo al suolo, così che il volto gli si scortica
completamente e il naso si frattura in due punti. Si alza, e dice:
“Mi brucia un po’ la fronte...”. Si tira indietro i lunghi
capelli rasta. Tiene gli occhi aperti a fatica. Il sangue inizia a
colare da decine di piccole escoriazioni come se fosse passato in
mezzo ad una grata.
Nel
giro di pochi secondi scatta il Fight Club. P. getta via una lattina
di birra scadente e si avventa su S., minacciandolo, ma non sul
serio, per quello che ha fatto a M. Gli salta in groppa, lo stringe
al collo e in pochi istanti cadono entrambi di schiena. P. resta
schiacciato, prende una gomitata sullo sterno e gli manca il fiato
per un po’. Ma si rialza e si mette a spintonare chiunque gli passi
a tiro. Nel mentre B., che non ha ancora esaurito la scarica di
adrenalina di poco prima, si unisce alla mischia al fianco di P. e
improvvisa placcaggi da wrestler, andando a picchiare la faccia
contro le ginocchia di chi cerca di sfuggirgli. Arrivano G., N., T.,
e un’altra mezza dozzina di ragazzi che non conosco, forse anche I.
Mentre vedo Alice ed Elisa farsi da parte e fissare incredule la
scena, realizzo di essere al centro del ring, esterrefatto ma in un
certo senso divertito, assolutamente incapace di fare qualcosa.
Per
fortuna che G. ha la macchina e riescono a portare M. e F. in
ospedale. Intanto alcuni si allontanano alla spicciolata e io cerco
di tornare a casa con N. Lui però vuole correre, anche se non è in
grado e io cerco di trattenerlo. All'ennesimo tentativo di
divincolarsi però mi sfugge e scivola, andando a sbattere contro una
vetrina sporgente in metallo, infrangendone il vetro. La botta sembra
seria.
Arrivati
a casa si alza la maglia ed emerge un livido grande come una mano e
viola come una bietola cotta, e più o meno della stessa consistenza.
Nel mentre arrivano a casa anche B. e I., messi malino. I. passa una
vita in bagno finché non ci si addormenta e lo devo andare a
prendere. Con B. cerchiamo di ricostruire gli avvenimenti delle
ultime ore. Ci scappano due risate, poi andiamo a dormire anche noi.
Questa
storia l'avrò raccontata cento volte, ma era ora che venisse
scritta.
Grazie
regaz, da P.
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