Nobumoto
e il ventaglio
Nobumoto
Kasuramigawa sedeva, assorto, nel Patio delle Allodole, assaporando
il tepore del sole pomeridiano. Il solletico delle venature del legno
sotto i piedi nudi gli risultava piacevole ed era la sensazione
tangibile dei rari momenti di riposo che poteva concedersi lontano
dal palazzo. Quando rimaneva per ore negli alloggi della corte a
colloquiare con i dignitari o a redigere missive, ogni tanto si
distraeva, cercando di ricordare quella sensazione sotto i piedi.
Senza accorgersene li muoveva leggermente, facendoli scivolare sui
geta
di legno di kiri, ma le calzature gli impedivano di percepirne la
superficie leggermente ruvida. Non sopportava di indossare i tabi
in estate, ma l’Imperatore non tollerava i piedi scoperti, nemmeno
per gli uomini.
Ad
un tratto la quiete del parco venne interrotta da rapidi passi sul
sentiero di ghiaia.
Senza
scomporsi, Nobumoto aprì gli occhi e voltò adagio il capo alla
propria destra. Un ragazzo, che egli conosceva bene, si stava
avvicinando a lui, visibilmente timoroso ma eccitato.
«Perdonate,
Nobumoto-sama.» disse il ragazzo, esibendo un sentito inchino, più
ampio del necessario.
«Ti
sei già perdonato da solo, interrompendo il mio ozio.» disse
Nobumoto.
Il
ragazzo alzò il capo, mortificato. Ma l’uomo gli stava sorridendo.
«Dimmi,
cosa ti turba, kotaishi?» gli chiese.
«Ho
un certo imbarazzo a rivelarvelo, Nobu-sama.»
«Ha
a che fare con una fanciulla?»
«Come
lo avete capito?»
«Da
giorni ti vedo irrequieto e alla tua età un simile stato d'animo può
essere dovuto a poche cose.»
«Avete
ragione, Nobu-sama...»
«Tuttavia»
disse il dignitario, interrompendo il ragazzo «Sei ancora troppo
giovane per arrovellarti in certe questioni. Quando avrai compiuto il
tuo gempukku
potrai dedicarti alle faccende degli adulti.»
Il
ragazzo rimase per qualche istante in silenzio, inibito ma deciso a
non darsi per vinto.
«Ma
l'amore non può essere solo per gli adulti.» disse infine.
«Vero,
ma devi imparare a comprenderlo, kotaishi.»
Il
ragazzo si fece nuovamente taciturno, intento a riordinare i
pensieri.
«Ad
ogni modo io provo simpatia per una persona e vorrei farglielo
sapere.»
«Allora
diglielo.»
«Ma
ne ho timore.»
«Dunque
scrivile.»
Il
ragazzo parve illuminato.
«Comporrò
un tanka!» esclamò.
«Mi
sembra appropriato. E glielo reciterai?»
«Oh,
certo che no... Glielo farò recapitare.»
«Non
mi pare che così facendo tu possa dimostrare in giusta misura
l'affetto che dici di provare.»
«Cosa
mi suggerite dunque, Nobu-sama?»
«Quanto
meno di trovare un modo insolito per farglielo avere.»
Il
ragazzo si rimise a pensare, fissando gli alberi alle spalle di
Nobumoto.
«Potrei
scriverlo su un pezzo di carta e nasconderlo in uno dei suoi
ventagli. Anzi, lo scriverò direttamente su un ventaglio e glielo
regalerò!»
«Non
state considerando una cosa. Un ventaglio non è sufficiente a
contenere tutte le sillabe di un tanka. Ad esempio, il ventaglio che
indossate ora quante pieghe ha?»
Il
ragazzo estrasse il ventaglio dalla cintura e lo spalancò, iniziando
a contare le stecche.
«Diciassette.»
disse.
«Allora
dovrai scrivere un componimento di diciassette sillabe.» disse
Nobumoto.
«Non
esiste nulla del genere, sama.»
«Allora
lo inventerai per l'occasione. E se ti riuscirà dovrai anche dargli
un nome.»
«Diciassette
sillabe.. Un numero assai esiguo per esprimere ciò che sento.»
osservò il ragazzo.
«La
via del samurai sta nella brevità.»
A
quelle parole il ragazzo si inchinò.
«Grazie
per i vostri consigli, Nobu-sama. Ora devo rientrare a palazzo. Mio
padre mi starà cercando.»
«Non
devi ringraziarmi, kotaishi. Io sono vostro umile servitore.»
Il
ragazzo fece un altro inchino e si voltò, per allontanarsi.
«Soddifsa
una mia ultima curiosità.» disse Nobumoto.
Il
ragazzo interruppe il movimento e si rivolse nuovamente al
dignitario.
«Ditemi,
Nobu-sama.»
«Qual
è il suo nome?»
«Haiku.»
rispose il ragazzo.
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