Guardare
avanti
Quando
posso e ne ho voglia uso la bicicletta, per muovermi in città e per
andare al lavoro. Uno dei problemi più frequenti che mi trovo ad
affrontare in quei momenti non è tanto la gincana tra le buche o il
continuo salire e scendere dalla sella per i passaggi pedonali,
quanto le persone che non guardano dove vanno. Ed in particolare non
guardano avanti.
Ragazzini
all'uscita o all'entrata da scuola, schiacciati dagli zaini enormi
oppure intenti a fissare qualcosa lontano da loro; anziani con
biciclette a mano, solitamente stracariche di buste di plastica o
canne di bambù; signori al telefono o fumatori distratti, signore
inconsapevoli che la pista ciclabile non è a senso unico. Guardano
tutti in basso o di lato o in alto, pochissimi in avanti. Anche chi è
in bici e non dovrebbe sbagliarsi. E spesso devo frenare per non
investirli o tamponarli. E quando freno, il rumore o la vicinanza li
scuote, li spaventa, come se io non dovessi trovarmi lì. Ammetto che
un po' ci gioco e quasi sempre freno all'ultimo, quel tanto che basta
per non centrarli. Così in loro subentra la consapevolezza
dell'errore, una leggera vergogna, ma la schivata non lascia tempo
per scusarsi perché siamo già lontani, forse non ci rivedremo più.
Fisso
la scia d'asfalto sotto gli alberi e in lontananza scorgo un collega
ciclista. È bello impettito e guarda avanti, senza indugio. Dopo non
molto ci incrociamo e gli sorrido, anche se lui non sa il perché.
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