Persone
motivate
Nell'arco
di alcuni giorni ho incontrato due persone molto motivate che mi
hanno fatto riflettere.
Ad
un incontro sui diritti della maternità e della paternità c'era una
sindacalista, una signora romagnola integrale, che spiccava in mezzo
alle altre conferenziere. Indossava dei sandali da ginnastica e una
felpa di pile colorata, una sciarpa troppo lunga che continuava a
rigirarsi e aveva dei capelli arancioni legati alti con un elastico
da discount. Commentava con il viso ogni intervento e quando è
toccato a lei parlare si è fatta molto accalorata, gesticolava, si
agitava sulla sedia. Usava parole come “padroni” e infilava una
dietro l'altra proposizioni da manifestazione operaia degli anni
settanta. All'inizio mi era sembrata esagerata, sopra le righe e
anche un po' fuori tempo massimo. In un certo senso mi dava fastidio,
con quella retorica sinistrorsa un po' sorpassata. In sala molti
ridevano ma erano anche conquistati. Non sembrava di essere ad un
incontro del servizio sanitario ma ad un comizio in piazza.
L'eccitazione si era propagata così rapidamente che dopo alcuni
minuti pensavo che la gente si sarebbe alzata in piedi e avrebbe
tirato fuori striscioni e gonfaloni. Ricordava un po' il discorso di
Peppone ai concittadini quando si candida per diventare onorevole. Ne
aveva per tutti, dai datori di lavoro ai governi. L'assessora la
prendeva in giro, dicendole che poteva anche fare a meno di usare il
microfono. Risata plenaria.
Poi
ci ha detto una cosa, con gli occhi quasi lucidi: di crederci sempre,
di andare a chiedere, che a dire di no ci pensano gli altri. Che se
non manteniamo viva almeno la speranza è la fine. E di colpo il
silenzio. La demagogia spazzata via, le frasi fatte sciolte nel caldo
eccessivo della sala. Finite le mosse inconsce, le battute trite.
Devo
andare perché è tardi e mi aspettano, non sentirò gli altri
interventi. Me ne vado sul più bello, prima che parole inutili
rovinino l'ispirazione.
Porto
i miei alunni in biblioteca e, dopo aver visitato le sale antiche, un
ragazzo sui trentacinque ci spiega come usare il servizio di ricerca
on-line. È un lungagnone dinoccolato, con un po' di barba e una
giacca grigia di lana grezza che accentua gli spigoli delle spalle.
Un lembo di camicia pende sulla sinistra, ma non stona. Parla con noi
quasi preso alla sprovvista, senza troppo metodo. Dovrebbe spiegarci
i meandri della maschera di ricerca ma si interrompe mille volte,
saluta per nome alcuni giovani avventori, ci dice che la biblioteca è
un posto incredibile, dove succedono un sacco di cose. Ci dice che
lui ha iniziato tardi a leggere, ma proprio tardi, e che il suo primo
libro è arrivato che era già adulto. Ora preferisce passare certe
sere con un libro.
I
ragazzi lo guardano, non lo stanno sempre a sentire, anche perché è
impreciso, si sbaglia, torna indietro, apre parentesi. È emozionato
per avere davanti una classe e vuol fare di tutto per convincerli che
quello è un posto che merita di essere rivisto, per essere
esplorato. Sembra imbranato, ma non lo è.
Quando
ce ne andiamo ci fa un saluto militare, un'ultima simpatia. Ci guarda
imboccare le scale come alla fine di un appuntamento, quando ti resta
in gola il sapore amaro di non sapere se l'hai conquistata.
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