giovedì 29 marzo 2012


California

In fondo alla valle c'è un lago, in fondo al quale, una volta, c'era un paese. Gli abitanti vennero fatti andar via, in pochi giorni, per costruire la diga ai Pascoli, per fare il lago.
Salendo a piedi dal ponte di legno lungo lo sterrato sembra di camminare in una cartolina degli anni Settanta. C'è la malga, ci sono le vette innevate sullo sfondo, un fresco odore di erba e un lungo e profondo rumore di acque che scorrono sopra sassi tra i quali dubito che il giovane pescatore con gli stivaloni troverà mai qualcosa. I pesci lì non ci sono, ci andrebbero a sbattere la testa.
In cima alla vallata c'era una paese di nome California. Un paesetto di minatori sorto dal nulla, il sogno americano di fine ottocento. Dove ora crescono alberi e arbusti rigogliosi una volta c'erano prati e case, alberghi, ristoranti. C'era gente seduta lungo il ruscello e bambini che giocavano al sole. C'erano corriere che scalavano la strada bianca per portare i villeggianti e poi si giravano, a fatica, a riportarli indietro. Anche le foto in bianco e nero ce lo ricordano.
L'alluvione del 1966 ha spazzato via tutto.
Non era rimasto niente e nessuno. Si erano sparpagliati tutti in paesini dai nomi spezzati, lasciandosi alle spalle la colata di fango.
Ci sono due ragazzi che salgono alla casera, non sono di qui ma conoscono la zona. Hanno con loro troppi litri di birra e impiegano un sacco di tempo a sistemarsi addosso gli zaini. Vanno ai Piani Eterni, sotto il Monte Mondo. Ci salutiamo nel borghetto di Pattine, che lentamente risorge dai ruderi. Una signora zappa un campo millenario, cataste di tubi gettate all'ombra, senza fretta. Un affresco all'angolo di una casa deserta raffigura sbiadita una madonna con Sant'Antonio e un coro di angeli.

lunedì 26 marzo 2012


Zabri

Qualcuno è salito fin lassù, sul ponticello pedonale, con una bomboletta spray nera, una mano inesperta e il cuore a mille perché se ti beccano. É salito lassù per scrivere il suo amore, perché lei lo veda ogni giorno quando passerà sotto quel ponte.
E nella fretta non si è accorto che stava iniziando a scrivere al contrario, cioè dritto per lui che era sopra, ma al contrario per chi guarda da giù. Si corregge e prosegue, la scritta tremante, come un bambino che prova il proprio nome. Quella lettera iniziale, che doveva essere una S, diventa una Z, ma per poco, poi chi legge capisce.
E anche quando non staranno più insieme, tutti sapranno che almeno per un momento, chissà quando, lui Zabri l'ha amata.

giovedì 22 marzo 2012


Piantina

Ti abbiamo vinta alla pesca, ma ti voglio bene più che se ti avessimo comprata. Il fatto di non averti scelta ma di esserci capitata per caso ha un qualcosa di fatidico e importante. Mi sento responsabile, come se fossi un'orfanella. Ti mettiamo in sala, alta come la TV e un po' stortina. Stai lì in silenzio, non chiedi mai niente. Ti spostiamo e ti sta bene, ti rispostiamo e non ti lamenti. Ti pulisco dalle foglie secche, ti metto vicino alla finestra del terrazzo così prendi un po' del sole dell'inverno. Forse dovrei darti un nome, ma mi piace chiamarti piantina. Le tue foglie sembrano dita di un pianista e quando le sfioro so che capisci.