Amici
Devo sostituire, per un paio d'opre, un allenatore di pallacanestro con dei ragazzini di dodici anni. Torno dopo tanto tempo dove mi allenavo anch'io, alla loro età. La palestra è piccola, ci sta appena un piede tra il bordo del campo e il muro e la vecchia area del tiro da tre non arriva fino a fondo campo. Il pavimento è lo stesso linoleum verde di dieci anni prima.
I ragazzi sono tanti ma abbastanza disciplinati. Tra di loro c'è anche un ragazzo down, che tutti chiamano Bengi. Bengi è bravo. Passa la palla, corre, fa qualche fallo ma solo perché è un po' scomposto. Gli altri lo sanno e non se la prendono e cercano di coinvolgerlo nel gioco il più possibile.
Facciamo un po' di riscaldamento, poi qualche esercizio e infine una partitella.
Ad un tratto Bengi va in bagno ma non torna. Allora lascio i ragazzi a giocare ed entro negli spogliatoi. Apro la porta delle docce e vedo Bengi che si è tolto i pantaloni e sta roteando in aria le mutande piene di cacca.
Chiudo la porta e torno in palestra. Fischio e chiamo a me i ragazzi. Prendo Filippo e Marta, che mi sembrano i più svegli ed autorevoli, e li incarico di fare da giocatori e arbitri perché Bengi ha bisogno di me. Loro annuiscono, non deve essere la prima volta che accade, prendono la palla e fanno giocare i loro compagni.
Torno in bagno e la situazione non è cambiata. In più però Bengi sta gridando: "Seeeeee!".
Riesco a placarlo poi lo riporto in bagno e lo lavo. Trovato il suo zainetto lo asciugo con un asciugamano che per fortuna ha dietro. Però non ha un cambio. Gli metto i miei pantaloncini e io rimango con la tuta. Prendo le sue mutande e i pantaloncini imbrattati e li incarto come posso in un sacchetto di plastica che trovo nella cesta dei palloni. Metto il sacchetto in bagno in attesa che arrivino a prenderlo. Intanto i ragazzi in palestra finiscono la partita mentre Bengi li osserva dalla panchina.
Alla fine delle due ore arrivano i genitori di Bengi ai quali racconto sorridendo l'accaduto. Loro lo rimproverano un po' ma alla fine non lo sgridano troppo. Prima di andare via Bengi mi abbraccia e mi dice: "Amici...".
I ragazzi sono tanti ma abbastanza disciplinati. Tra di loro c'è anche un ragazzo down, che tutti chiamano Bengi. Bengi è bravo. Passa la palla, corre, fa qualche fallo ma solo perché è un po' scomposto. Gli altri lo sanno e non se la prendono e cercano di coinvolgerlo nel gioco il più possibile.
Facciamo un po' di riscaldamento, poi qualche esercizio e infine una partitella.
Ad un tratto Bengi va in bagno ma non torna. Allora lascio i ragazzi a giocare ed entro negli spogliatoi. Apro la porta delle docce e vedo Bengi che si è tolto i pantaloni e sta roteando in aria le mutande piene di cacca.
Chiudo la porta e torno in palestra. Fischio e chiamo a me i ragazzi. Prendo Filippo e Marta, che mi sembrano i più svegli ed autorevoli, e li incarico di fare da giocatori e arbitri perché Bengi ha bisogno di me. Loro annuiscono, non deve essere la prima volta che accade, prendono la palla e fanno giocare i loro compagni.
Torno in bagno e la situazione non è cambiata. In più però Bengi sta gridando: "Seeeeee!".
Riesco a placarlo poi lo riporto in bagno e lo lavo. Trovato il suo zainetto lo asciugo con un asciugamano che per fortuna ha dietro. Però non ha un cambio. Gli metto i miei pantaloncini e io rimango con la tuta. Prendo le sue mutande e i pantaloncini imbrattati e li incarto come posso in un sacchetto di plastica che trovo nella cesta dei palloni. Metto il sacchetto in bagno in attesa che arrivino a prenderlo. Intanto i ragazzi in palestra finiscono la partita mentre Bengi li osserva dalla panchina.
Alla fine delle due ore arrivano i genitori di Bengi ai quali racconto sorridendo l'accaduto. Loro lo rimproverano un po' ma alla fine non lo sgridano troppo. Prima di andare via Bengi mi abbraccia e mi dice: "Amici...".