giovedì 28 giugno 2012


Aspettando Godo

Parto dalla stazione di Porta Nuova rassegnato al fatto che ci vorranno più di sei ore per tornare a casa. Arriverò appena sarà buio e con ogni probabilità avvolto dalla nebbia. Il panorama non aiuta: già ad Alessandria le colline svaniscono e mi immergo nella pianura più liscia, uguale per ore.
Conosco a memoria le stazioni e faccio partire, nella mente, il lento conto alla rovescia dei nomi. Quando arrivo al penultimo mi sento già rilassato, come fossi arrivato. Mi rendo conto in quel momento che non è l’ultima fermata che attendo, ma quella immediatamente prima.
Al momento di ripartire è quella che segna il distacco. Fino a lì mi sto ancora ambientando, piegando la giacca, sistemando lo zaino, rispondendo ai messaggi... Dopo quella soglia inizia il vero viaggio, mi abbandono al ronzio conciliante del vagone e attendo, riprodotta con puntualità, la fredda voce che annuncia l’imminente scalo.
Quando torno è invece il limite che segna la patria, il territorio straniero. Il campo da calcio rinsecchito accanto alla chiesa, il giuggiolo che lascia pendere i frutti oltre lo steccato marrone, sul primo binario. Il controllore che scende e ne ruba un paio, prima di tagliare la bruma con il fischio. Dopo quell’ultima ripartenza mi sgranchisco, mi desto, smetto di fare quello che stavo facendo. Indosso la giacca, raccatto le mie cose, e raggiungo gli altri passeggeri nel vano tra le carrozze, come se in quel modo avvicinassi la meta. Barcollando in piedi, a gambe larghe per non cadere, sento il treno rallentare, in vista del capolinea. Sorrido, penso che presto sarò di nuovo lì. Penso che in realtà io non viaggio aspettando Ravenna. Viaggio aspettando Godo. 

lunedì 25 giugno 2012

giovedì 21 giugno 2012


Merigar West

Quando svalichi la collinetta, seguendo la polverosa strada sterrata, ti sembra di aver percorso di colpo migliaia di chilometri ed essere nel cuore dell'Asia.
Una fila di bandiere logore e colorate, appese ai tralicci della luce, introduce allo slargo che funge da parcheggio, ora deserto. Un ragazzo scarmigliato si incammina a piedi verso il paese, mentre le nuvole si ricompattano, adagio. In lontananza si intravede la cupola del Gompa e la punta dorata del Grande Stupa.
Le colline hanno un taglio brusco e inconsueto, molto poco toscano, e lo sperone di roccia sul quale si erge il Tempio della Grande Contemplazione sembra la scenografia di un film di wuxia.
C'è un aria irrequieta, positivamente irrequieta; mistica. Questo luogo non è stato scelto a caso.
Ci avviciniamo cauti, ci viene da stare in silenzio, anche se siamo solo turisti casuali. C’è poca gente, non è settimana di grandi eventi. Sono quasi tutti stranieri ma troviamo un’italiana che ci mostra gli edifici e ci introduce alla storia di quel luogo.
Ci togliamo le scarpe, scivoliamo sul legno e ci lasciamo tranquillizzare dalla grande stanza circolare.
Dopo la visita rimaniamo un po’ seduti sulle panche del camminamento esterno, semplicemente rilassati.
Ci concediamo una tazza di the e una fetta di crostata sotto la tettoia del camioncino-bar. Attendiamo che la pioggia rallenti poi torniamo verso la macchina. Entrambi ci voltiamo verso il complesso di edifici. Sappiamo già che torneremo. Perché una parte di noi è rimasta lì.

lunedì 18 giugno 2012

giovedì 14 giugno 2012


Primo Bacio

Mi sbatte contro il muro, non posso farci niente. Lei è più grande di me, di età e di stazza.
Stavamo giocando a nascondino, con altri ragazzini, era l’ultima sera d’estate. Come al solito ci infiliamo dietro la grande siepe accanto all’ingresso delle scuola, nello stretto spazio che c’è tra le foglie di alloro e la parete sbeccata. La luce biancastra dei lampioni sulla strada filtra appena ma tagliente.
Era una partita come le altre. Corriamo nel buio, ci “taniamo”, facciamo la conta; i genitori ci guardano da lontano mentre sorseggiano un po’ di vino sotto il grande portico della palestra...
Siamo lì, noi due, con la schiena contro il cemento, in attesa. Ci stanno cercando, altri sono già stati scoperti. Respiriamo piano, ci guardiamo, ci scappa un sorriso. Poi, come scaraventato in un tornado, vengo depredato della mia fanciullezza.
Con un movimento rapido e famelico lei mi schiaccia contro il muro con il corpo e appiccica le labbra sulle mie. Non è il mio primo bacio a stampo, anche se non ero mai stato baciato in quel modo, quasi violentato. Il momento sarebbe stato già memorabile così, ma ancora non potevo immaginare. Lei apre la bocca, e costringe anche me a farlo. Impaccio estatico.
Ad un tratto un ragazzino più piccolo si fionda dentro la siepe per non essere visto. Lei si stacca e con due frasi prova a convincerlo ad andare via, che quello non è un buon nascondiglio. Lui annuisce e se ne va, abbastanza persuaso.
Io non ho tempo di parlare né di riprendermi che lei riattacca, più vorticosa di prima. Allunga anche qualche mano e io non so davvero che fare. Dura qualche minuto poi ci tocca sbucare dalla siepe. Ci stanno cercando tutti.
Più tardi, in macchina, non dico una parola e guardo nostalgico fuori dal vetro, seduto sul sedile posteriore della opel kadett.
Tutto bene? Sì.
Non ti ho mai più rivista, Primo Bacio. 

lunedì 11 giugno 2012

giovedì 7 giugno 2012


Aquiloni

Cielo gonfio di nubi paffute, sembra mare. La gente con la testa all'indietro attende. Si alzano due aquiloni, guidati da fili invisibili. Raffigurano due volti, un uomo e una donna, dipinti con un tratto asiatico, essenziale e colorato. Danzano in aria, seguendo la musica del sitar, si rincorrono, si allontanano, si riavvicinano, come si corteggiassero. Ad un tratto giunge un altro aquilone, molto più grande, raffigurante un demone orientale, con fauci digrignate e fiamme attorno alla testa. Si intromette trai due, li tiene separati. I tre vengono circondati da una dozzina di aquiloni più piccoli, sinuosi e neri, sembrano serpenti e strisciano nell'aria famelici.
La musica cambia, racconta di eroi. Lentamente, una alla volta, salgono aquiloni bianchi dotati di più code. Come tante meduse, ma più altezzose, si stagliano contro il grigio scuro, occupano il cielo e si preparano allo scontro.
Iniziano a lottare contro gli spiriti oscuri e si esibiscono in spirali vertiginose. Intanto il demone si muove in mezzo a loro, sembra incitarli.
Qualche medusa bianca si stacca, sconfitta, e vola in alto, per mai più ritornare. Anche qualche serpente nero viene sovrastato e abbandona il filo per svanire contro il cielo scialbo. Ma sono in troppi.
Lo scontro sembra terminato quando giunge un altro, enorme aquilone, anch'esso raffigurante un demone, ma questa volta ha qualcosa di benigno. I suoi occhi sono grandi e compassionevoli; la sua criniera è celeste. Si lancia contro il rivale, l'uomo e la donna si appartano ed assistono al duello. Intanto meduse e serpenti continuano nello scontro e il grigio viene mitigato da tagli di colore rapidissimi.
La musica giunge al culmine, poi ha un sussulto. Il demone malvagio si accascia e spira lentamente verso il suolo. I serpenti fuggono alla rinfusa mentre le meduse si accostano allo spirito salvatore. L'uomo e la donna possono dunque riunirsi, e volare insieme, prima che inizi a piovere. 

lunedì 4 giugno 2012