giovedì 27 settembre 2012


A volte funziona

Il lettore cd si accese ed un basso sibilo elettronico accompagnò l’uscita della piastra ottica.
Jordi e Greta erano seduti sul letto. Lei lo fissava con gli occhi spalancati.
«Ci credi adesso?» le chiese.
Greta annuì, senza mutare espressione.
L’impianto stereo era a più di tre metri da loro. E non era dotato di telecomando.
Jordi abbassò lo sguardo, come se le parole di cui aveva bisogno si trovassero nelle scanalature del pavimento.
«Inizierò l’addestramento domani.» disse Jordi, sull’orlo delle lacrime. «Vengono a prendermi tra poco.»
Greta lo abbracciò, impedendogli di piangere ed iniziò a baciarlo. Poi fecero l’amore. Dalle mani di Jordi partirono piccole sferette di luce azzurra che andarono ad esplodere contro la parete.
Greta sussultò e si scostò, liberandosi dall’abbraccio.
«Non è niente» disse Jordi, ridacchiando. «È che ancora non riesco a controllarla bene.»
Lei sorrise. Forse iniziava a capire. Si strinse nuovamente a lui.
Poco dopo qualcuno bussò alla porta.

Quel mattino il reparto elettrodomestici era più affollato del solito. Greta stava pulendo gli scaffali, ma la sua mente era altrove. Erano passati sei mesi dalla loro separazione, e da allora nessuna notizia. Ma non poteva cercarlo. Non poteva dire niente a nessuno.
Ad un tratto una delle radio portatili si accese. Greta schiacciò il tasto power, credendo di averlo urtato per errore. La radio si riaccese, e con lei anche tutti gli altri impianti stereo del centro commerciale. Gli sportellini scattarono quasi all'unisono e altrettanto fecero i lettori cd. Decine di canzoni diverse vibrarono dagli amplificatori.
La gente accorreva divertita, nessuno capiva cosa stesse accadendo.
Solo Greta sapeva. Si guardava attorno euforica, ma era sicura che non lo avrebbe visto.
E sorridendo si accarezzava il pancione.

giovedì 20 settembre 2012


Eloquio

Nell'aprile del 2008 frequentai un breve laboratorio di scrittura, dedicato ai racconti brevi, con un noto scrittore italiano. Alcune sue frasi, pronunciate durante quei pomeriggi, mi colpirono per l'altezza dell'eloquio, nonostante il contesto decisamente informale e scarsamente aulico. Ne riporto alcune, con l'intenzione di utilizzarle, di tanto in tanto, onde migliorare l'oratoria anche nei momenti più conviviali della vita quotidiana. Nel leggerle metteteci anche un po' di erre ruvida, di gola.
Chiudo la finestra perché mi arriva un refolo.”
Inorridito dalla fatica del cambiamento, lascio tutto com’era.”
Mi dedico alle bellurie.”
Questo «orrore» è prolettico a quello che poi succederà.”
É una forma di edulcorazione, di contrabbando del caos.”
L’ho circostanziato con fior di esempi.”
Tutto questo salgarismo del padre, questo cascame libresco, creava un contrasto troppo immediato con il linguaggio della protagonista.”
Queste cinque pagine sono effettivamente un po’ indigeste”.
Sennò l’altro fa la figura dell’afasico, dell’impedito.”
Ma la migliore:
É un padre anti-mitopietico. É un padre prosa, non è un padre poesia.”

giovedì 13 settembre 2012


Satelliti

Mi svegliai a mezzogiorno passato e pioveva a dirotto. La sveglia stava suonando per la millesima volta. Realizzai quasi subito che ero in ritardo di circa tre ore, ma non mi preoccupai. Avevo disimparato a farlo, tanto era più forte di me.
Lei mi aspettava per colazione ma, presumibilmente, aveva smesso di aspettare da tempo. Era inutile che mi affrettassi, quindi mi diressi lentamente verso la cucina, ciondolando pesantemente e cercando sostegno contro gli stipiti delle porte. Aprii il frigo. Maionese e una banana annerita. Non c’era modo di combinarle. Una volta sarei stato in grado di farlo, pensai. Chiusi il frigo. Mi guardai riflesso nella calamita a forma di mulino a vento e mi feci schifo. Non per la barba di due giorni o per i pestoni, no. Sembravo uno di quei guerrieri nordici del medioevo, votati al loro dio sanguinario e desiderosi di saccheggiare ogni villaggio e ogni bettola dalla tundra fino all’Africa. Sarebbe stato proprio bello. Cosa vuoi fare da grande? Il guerriero sanguinario. E non pensare più a niente. Riaprii il frigo. Vada per la banana annerita.
Quella mattina non l’avevo nemmeno sentita alzarsi dal letto. Se almeno avesse fatto un po’ di rumore, forse non avrei tirato dritto e magari sarei arrivato quasi in orario. Era un po’ anche colpa sua.
Andai in bagno per cercare di togliermi quel fastidioso sapore di marcio dalla bocca. Presi lo spazzolino, poi allungai la mano verso il bicchiere ma andai due volte a vuoto. Il tubetto del dentifricio mi guardava, esanime, ai piedi del sapone liquido. Lei lo aveva spremuto con irreprensibile precisione, arrotolandolo dal fondo. Brava, precisa. Ma per me non ne rimaneva nemmeno un granulo.
Mi lavai senza troppa voglia poi iniziai a frugare tra la pila dei panni da stirare. La giornata era iniziata male; volevo almeno mettermi la mia maglietta di Chuck Norris. Il labbro superiore si increspò leggermente, ad indicare la mia ira funesta, quando mi accorsi che la lavatrice (fatta ovviamente non da me) aveva appena ucciso Chuck, trasformandolo in una XS. Rosa.
Qualcosa mi cadde sulla testa. Mi tastai i capelli, poi guardai in alto per cercare di capire cosa fosse. Una crepa irregolare mi sorrideva beffarda dal soffitto. La seconda goccia mi centrò in pieno l’occhio destro. Mi scansai e mi misi ad osservare l’accumularsi dell’umidità che oramai aveva ricoperto non soltanto il soffitto ma anche gran parte della parete di sostegno. Presto avremmo dovuto fare dei lavori. Per il momento mi accontentai di una bacinella di plastica. Di quel passo si sarebbe riempita in un paio d’ore. Dovevo solo ricordarmi di tornare a svuotarla.
Non mi ricordai.
Tornai nel bagno poco prima di cena e scivolai e caddi e mi feci male all’osso sacro come avevo sperato di non fare mai in vita mia. Se c’è una cosa che non sopporto è proprio il dolore fisico. Soprattutto se sono da solo e non c’è nessuno ad aiutarmi, a curarmi, a consolarmi. Desiderai fortissimo di averla lì, con me, con quel suo sguardo divertito ma indulgente, le sue fossette, le sue parole adatte.
Rimasi in terra per una decina di minuti. Poi il dolore si attenuò e ritrovai le forze per rialzarmi e andai in cucina con una vergognosa voglia di chinotto. Non mi ero ancora accorto che nel lavandino e per terra erano sparsi cocci di bicchieri, come se qualcuno li avesse lasciati apposta affinché qualcun altro ci si ferisse. Li raccolsi a mani nude, attento a non tagliarmi.
Mi tagliai.
Mentre mi mettevo il cerotto realizzai che erano quasi le otto e di lei ancora nessuna notizia. Forse quella volta si era arrabbiata sul serio.
Accesi il televisore e incappai in un vecchio telefilm, uno di quelli che avevo guardato tante volte al liceo, proprio con lei, abbracciati sul divano, quando fingi di annoiarti un po’ per quelle storie sdolcinate e improponibili, ma in realtà speri sempre che capiti anche a te. Oppure quell’altro dove il protagonista guida una macchina parlante, o quello del gruppo di reduci del Vietnam che aiutano i poveretti.
Iniziai a pensare di averne visti veramente troppi. Troppi per non pretendere che poi la mia vita fosse come la vedevo nello schermo. Chissà se a lei era mai successo? Non lo sapevo. Mi imposi di pensare a questa cosa. Se non sapevo nemmeno come la pensava al riguardo non potevo dire di conoscerla veramente. Alle mie spalle la porta d’ingresso, che da tempo immemore sognava un’aggiustatina, cigolò. Finalmente era tornata, pensai.
Pensai male.
Percorsi in un paio di balzi la distanza che separava il divano dallo zerbino, dimenticandomi per un attimo del dolore alla schiena.
Tirai con cautela la maniglia verso di me. Ero pronto a tutto.
Non lo ero.
Sul pianerottolo bagnato dalle sue impronte, c’era un megafono.
Attaccato al megafono c’era un post-it. Rosa.
Sul post-it, rosa, C’era scritto: TI ODIO.
Seguito da ben tre punti esclamativi.

(liberamente ispirato al brano "Satelliti" di Mao)

giovedì 6 settembre 2012


Gnola da gamba

Etimologia della parola

La gnola da gamba è uno strumento cordofono, situato il più delle volte nella trachea, ma presente in rari casi anche nello stomaco. È in grado di propagare il proprio suono grazie al contatto con lo sterno, che ne diffonde le vibrazioni alla cassa toracica. Fondamentale, tuttavia, rimane l'espressione corrucciata che dice tutto, senza la quale il suono della gnola risulta fiacco e poco credibile.
L'invenzione della gnola risale ad Adamo ed Eva. Già i due ne facevano largo uso quando volevano qualcosa e il Creatore non gliela voleva dare. Nei secoli l'utilizzo della gnola si è diffuso quasi in tutto il mondo, ma non proprio ovunque (pare che in Svizzera vi siano alcuni focolai, ma le autorità stanno tentando di reprimerli, o quanto meno di confinarli tutti nel Canton Ticino). Oggi è grandemente utilizzata dagli essere umani di età inferiore agli otto anni ed è spesso accompagnata dal peso morto, strumento a percussione molto efficace, dall'ovattato tonfo inconfondibile. Vale la pena ricordare la notissima sonata di Johann Sebastian Mastropiero del 1847 intitolata “Concertino autunnale per gnola da gamba e peso morto, op.13”.
Ogni anno a Gnhollywood (USA) si tiene il Festival delle Gnole, che vede presenti i migliori concertisti e accordatori del pianeta.