giovedì 25 ottobre 2012


Retino

Peppe Quondagiovanni girava sempre con un retino da pesca, ma non era mai andato a pesca. Lo teneva nella tasca posteriore dei pantaloni e quando si sedeva lo impugnava, pronto per l'uso. Se lo portava ovunque, nell'officina meccanica in cui lavorava, al bar, al cinema, non lo scordava mai. Diceva che gli dava sicurezza, anche se non sapeva dire da dove derivasse quella sensazione. Nessun ricordo d'infanzia, nessun episodio collegato a quell'oggetto. Semplicemente gli piaceva averlo a portata. Già quando frequentava le scuole medie nessuno si stupiva più di quel fatto.
Passarono gli anni, Peppe divenne un settantenne pensionato, senza sposarsi e senza avere figli. Nemmeno un cagnolino. Aveva lasciato l'officina e con tranquillità si godeva il pacato andirivieni del paese in cui era nato e vissuto da sempre.
Un giorno, mentre usciva dalla biblioteca, ebbe un sussulto ed estrasse il retino appena in tempo per raccogliere un vaso di fiori che era caduto da una finestra al secondo piano. Il bambino che era di fronte a lui vide il vaso a pochi centimetri dalla fronte, attraverso i fori della rete verde. Senza dire una parola Peppe tornò a casa.
Da quel momento nessuno lo vide più.

giovedì 18 ottobre 2012


Bushido

Tsunetomo voleva morire. Per trent'anni aveva servito il signore di Saga e tutto ciò che desiderava era seguirlo con onore nell'aldilà attraverso il suicidio rituale. Sarebbe stato per lui e la sua famiglia motivo di grande rispettabilità e una degna fine da samurai. Ma il signore di Saga aveva bandito quella pratica da tempo e Tsunetomo, suo malgrado, dovette desistere  per non fare la fine di altri cortigiani, le cui famiglie erano state private degli eredi e confinate in province lontane. E siccome non andava d'accordo con il nuovo signore, decise di ritirarsi a vita monastica.
Non si rassegnava a quell'esistenza, poiché in qualche modo vi era stato costretto. L'unica cosa che poteva fare era vivere nel ricordo dell'epoca di Saga e delle gesta del suo signore e di suo padre. Attraverso quegli episodi, che egli narrò ad un discepolo, giunse a profonde riflessioni sulla morte, che in fondo è la via del samurai, il bushido. Nacquero così le Annotazioni su cose udite all'ombra delle foglie, che il discepolo trascrisse durante le lunghe conversazioni assieme al maestro, che avvenivano sotto i grandi baobab delle colline. Contro il volere di Tsunetomo, alla sua morte il discepolo diffuse le Annotazioni, che nell'arco di qualche secolo divennero un importante pilastro del bushido.
I latini avevano il Carpe Diem, l'invito massimo a godere del presente, nella consapevolezza che il domani è incerto. La via del samurai, in maniera analoga ma opposta, ci ricorda invece che la morte è in agguato e che bisognerebbe vivere al meglio il presente per non farsi sorprendere in difetto nei confronti del proprio signore, degli antenati o della famiglia. Se quando la morte giungerà non ci sentiremo in pace con la coscienza, se non avremo fatto tutto il possibile, allora subiremo il disonore. Quando un samurai è pronto a morire,  allora padroneggia la Via.

giovedì 11 ottobre 2012

Zinedine

L'aeroporto di Barajas è in lento risveglio, schiacciato da nuvole soffocanti e avare di pioggia. Attraverso le pareti di vetro scorgo le ultime propaggini della città, che sto per abbandonare. Mi incammino adagio, trascinando il pesante borsone nero con le ruote e mi barcameno tra zaino e borsa a tracolla. Percorro minuti di tappeti rotanti, incontro pochi volti e nessuno è desideroso di guardare verso di me.
Trovo l'imbarco e mi metto in fondo alla fila, a dire il vero composta da un uomo solo. È un tipo alto, spalle larghe, indossa una camicia scura e dei pantaloni aderenti. Ha una borsa sportiva appoggiata alla spalla destra, come se non gli pesasse. Dalla bretella pende un foulard a righe, annodato non troppo stretto ad un capo. E' veramente ben piazzato, sembra uno sportivo. Forse un calciatore? Un cestista?
Ma è Zidane!
Recupera i documenti e il biglietto e si volta per uscire dalla fila. Ci guardiamo fissi. Io ho un'espressione sconvolta, come se fossi stato beccato a fissare la scollatura di una bella ragazza. Lui è anche più in imbarazzo di me. Rimaniamo così, a mezzo metro l'uno dall'altro per alcuni secondi, che sembrano minuti. Io vorrei chiamarlo per nome, o almeno sorridergli, stringergli la mano, forse chiedere un autografo... Lui sta pregando in silenzio perché io non faccia nulla di tutto quello. Se è lì alle sei e mezza del mattino, in attesa di un aereo low cost per Parigi, forse è proprio perché non vuole incappare in... Si sposta di lato, mi lancia un'ultima occhiata. Mi sorride.
Lo osservo oltrepassare l'imbarco, nell'indifferenza generale. Mi guardo attorno ma nessuno sembra averlo notato. Scivola via con leggerezza. Poi non lo vedo più, nascosto dal passaggio della macchina pulitrice. E per molti anni non l'ho raccontato a nessuno.

giovedì 4 ottobre 2012


Urst

Un mio amico c'ha l'urst. Non è una malattia tropicale ma una un-resolved sexual tension, una tensione sessuale irrisolta, verso la sua compagna di banco delle superiori. L'urst è molto utile in tv e al cinema, serve a tenere alta la carica erotica tra due personaggi che però non combinano nulla (nelle serie) oppure convolano solo alla fine (nei film). Tipo Mulder e Scully. A nessuno frega niente degli alieni, vogliamo solo sapere se alla fine la volpe arriva all'uva oppure no. Nella vita vera però l'urst non serve a molto, anzi. Questo mio amico per esempio ci sta malissimo. Se l'è sognata per anni, ad occhi aperti e ad occhi chiusi. Non è che se la vuole sposare, no, c'ha solo l'urst. Questo mio amico si firma Fred Urst da quanto c'ha l'urst. Gli auguro di risolverla, prima dei titoli di coda.