giovedì 30 maggio 2013

Rovescio

Spensi la luce e mi alzai da letto con energia. Mi tolsi gli abiti e li riposi con cura sulla sedia di legno. Indossai il pigiama, mi feci una doccia e cenai, con un piatto di pasta al pomodoro e del pinzimonio. Uscii di casa che il sole era alto e caldo, presi la bici e in meno di dieci minuti arrivai al cinema. Il film non mi dispiacque e quindi, una volta uscito, decisi di pagare il biglietto. Salutai il cassiere, ripresi la bici e tornai a casa per la merenda.
Poco prima di mezzogiorno andai in studio per mandare alcune email delle quali avevo già ricevuto risposta e richiamare qualcuno che non conoscevo. Sudai molto, quindi decisi di andare al parco a correre un po' per rinfrescarmi. Dopo circa tre quarti d'ora ero asciutto e riposato e i muscoli delle gambe non mi facevano più male.
Tornai a casa, diedi il buongiorno a mia moglie, mi tolsi il pigiama e rimisi i jeans con la camicia. Feci colazione con un'abbondante tazza di latte e avena e un cucchiaino di miele. Bello riposato, anche se con un po' di mal di schiena, tornai a letto mentre il gallo cantava.

giovedì 23 maggio 2013

Scenografo
Etimologia della parola

Grande amico dello Storione, lo Scenografo venne avvistato per la prima volta in Mesopotamia, alcuni millenni prima di Cristo. Già allora si distingueva per la sua tendenza ad ingigantire i momenti di difficoltà o di tristezza o di dolore, mettendo in atto delle vere e proprie "scene" ai limiti dell'inverosimile. Come lo Storione vive isolato, per quanto abbia necessità di frequenti contatti con gli altri membri della società per poter dare frutto alle ore e ore di prove effettuate in solitario. Tra i grandi della storia ricordiamo: Sceno l'Africano, Piotr Ilic Scenosky e Diego Ignacio da Silva Sceneiro.

giovedì 16 maggio 2013


Diablo


Mettendo a posto un po' di cianfrusaglia ammassata in uno scatolone ancora dal trasloco ho ritrovato un pezzo di canna di bambù con attaccato un bigliettino. Erano anni che non mi capitava di tenere in mano quell'oggetto ma di certo non avevo dimenticato cosa fosse.
Francesco era magro e aveva gli occhi chiari, i capelli sparati e delle movenze da giocoliere, da funambolo. Aveva sempre qualcosa in mano con cui giocherellare e per ogni argomento sapeva una storia strana o un mistero da raccontare.
Lo conoscemmo un'estate di tredici anni fa quando decise di venire con noi in route perché il suo clan quell'anno non sarebbe partito dato che, a parte lui, lavoravano tutti in riviera. Aveva uno zaino abbastanza piccolo ma carico di giochi. Frisbie, palline, clavette e diablo. Ogni volta che ci fermavamo tirava fuori le stecche e iniziava a giocare, lanciando il diablo in aria, rischiando più volte di perderlo in qualche crepaccio. Se ti vedeva in vena ti coinvolgeva in qualche piccola acrobazia, facendoti fare capriole o chiedendoti di sorreggerlo per una torre umana. Era il più giovane di noi e decisamente fuori contesto, ma  alla fine della spedizione ci eravamo affezionati ed avevamo imparato a comprendere il suo modo di fare, a volte apparentemente invasivo o fuori luogo, ma sempre sincero e vitale.
Pochi mesi dopo una macchina contromano centrò in pieno il risciò sul quale stava facendo un giro con altri ragazzi.
Andammo al funerale tutti in uniforme, per salutare un amico, anche se lo avevamo conosciuto da poco. La chiesa era strapiena. A metà della cerimonia la piazza venne invasa da un corteo rumoroso di saltimbanchi e giocolieri, che battevano sui tamburi e cantavano e lanciavano piccoli razzi, gonfiavano palloncini e si esibivano in numeri da circo. In chiesa era quasi impossibile comprendere cosa stesse dicendo il prete e la gente era infastidita.
Poi prese la parola il frate che ci aveva accompagnato in route, e che da alcuni anni assisteva il nostro clan, e disse una cosa che in realtà molti di noi pensavano ma avevano timore ad ammettere.
Non dovevamo essere arrabbiati per la festa che rimbombava da fuori. Non era una mancanza di rispetto ma un segnale che la vita proseguiva. In realtà là fuori c'era Francesco che con il diablo e i trampoli ci invitava ad uscire, a non smettere mai di giocare e di farsi domande, meglio se insolite.
Poco prima avevo preso la parola io, a nome del clan, e avevo pensato la stessa cosa ma avevo avuto timore a dirla e alla fine avevo tirato fuori le solite cose da funerale. Mi ripromisi di non perdere mai più l'occasione per dire quello che pensavo.
Mossi dalle parole del frate, lentamente la gente uscì dalla chiesa e si fece prendere dalla festa. Iniziammo a cantare e a ballare mentre la cerimonia volgeva al termine. Francesco sarebbe stato contento.
No, in realtà questo non successe ma l'atmosfera mutò all'improvviso. La cerimonia si concluse senza patemi e al termine ad ognuno venne consegnato come ricordo il pezzo di bambù con il bigliettino che riportava una preghiera. Rispetto a quasi tutte le altre cose trovate nello scatolone credo che questa la terrò, come monito e talismano.

giovedì 9 maggio 2013


Dreamcatcher

Seconda Parte

Giunsero dapprima uno alla volta poi a gruppi di due o tre. Alcuni avevano lunghe fauci, altri occhi enormi, altri ancora artigli o zampe minacciose. Emettevano versi raccapriccianti, anche se sussurrati, ed avanzavano lenti verso il centro della stanza. Quando ebbero formato una massa consistente Dillon iniziò a cantilenare. Dapprima sussurrava singole parole, poi frasi più articolate. Le espressioni del volto concentrato accompagnavano l'evolversi della melodia. Ad un tratto le parole iniziarono a prendere colore, legandosi in un nastro violaceo, e si innalzarono verso l'alto assumendo lentamente forma. Una lunga tunica apparve in mezzo alla stanza. Le sue pieghe evidenziavano un torace gonfio e ansimante. Poi presero corpo le braccia e le mani artigliate e infine il capo sormontato da lunghe corna. Sul volto spuntarono due intensi occhi neri e una lunga bocca aperta fino alla pancia, costellata di sottili denti acuminati. Il Guardiano doveva essere spaventoso quanto gli Incubi, se possibile più spaventoso, affinché questi fossero intimoriti a loro volta e scappassero o si lasciassero catturare.
Il Guardiano allargò le braccia a protezione e nella mano destra comparve uno scettro sinuoso, simile ad una lunga liana, che si allungava sino alle mani di Dillon. La sfera che reggeva si staccò dai palmi e si mise a fluttuare a mezz'aria, oscillando appena. Alla vista dello scettro gli Incubi emisero un unico verso stridulo di rabbia e si compattarono. Sotto le coperte Sara tremò per un istante.
Altri mostri giunsero alle loro spalle, premendo per trovare posto. Ragni, serpenti, goblin e personaggi malvagi dei racconti apparivano sempre più rapidamente, famelici e minacciosi. Il Guardiano aprì ancora di più le fauci e distese gli artigli. Gli Incubi non sembravano darsi per vinti, anzi, parevano ancora più intenzionati a sfidarlo. Un'ombra densa e appiccicosa invase la stanza, chiudendosi come una grande palpebra su di loro.
Dillon aprì per un istante gli occhi e si rese conto che la situazione era più complicata del solito. Era chiaro che la magia non bastava, c'era bisogno di un bel sogno per risolvere la situazione. Ma con tutti quei mostri e quell'oscurità per Sara non sarebbe stato facile. 
Senza bisogno di dire nulla Dillon guardò Julie e la gatta iniziò a miagolare in una maniera quasi umana, che è molto raro sentire di giorno.
Pochi istanti dopo dalla finestra aperta giunse una Fata del Crepuscolo, poi una seconda e infine un piccolo stormo. Le minute creature alate e luminose circondarono Dillon e Sara andando a creare una barriera di luce contro l'ombra che avanzava incessantemente. Questo avrebbe permesso alla bimba di calmarsi e forse di fare un bel sogno.
Nella speranza che ciò avvenisse in fretta Dillon iniziò a salmodiare più forte e il Guardiano crebbe ancora in dimensione. Gli Incubi premevano, erano giunti a sfiorarlo, lo graffiavano con gli artigli e le chele vibranti. Dillon sentiva le mani calde e puntò i piedi per terra per concentrarsi maggiormente. Julie osservava con apprensione, senza togliere gli occhi dai mostri, consapevole che non poteva fare altro.
Il primo Incubo riuscì ad afferrare il manto del Guardiano e lo azzannò con foga. Il mantello si lacerò e il mostro tornò nell'ammasso informe per gustarselo. Altri Incubi gli furono addosso per averne un pezzo da assaggiare. Dillon iniziava ad essere stanco, ad avere la gola secca e le mani al limite dell'ustione. La sfera emanava un calore fortissimo ed era diventato quasi impossibile per lui continuare a sostenerla.
Un altro incubo raggiunse il guardiano e lo ferì ad un braccio con la sua zampa viscida. Il Guardiano gemette e Dillon smise per un attimo di parlare. In quell'istante gli Incubi si gettarono sul Guardiano, come se una rete invisibile che prima li tratteneva si fosse di colpo spezzata. Dillon riprese immediatamente a cantilenare e il Guardiano li rigettò indietro con un violento colpo dello scettro. I mostri tuttavia gli erano ancora addosso e lo graffiavano, lo tiravano verso di loro e lo colpivano senza sosta.
Dillon era al limite delle forze e non sapeva più quali parole utilizzare. Sentiva la voce svanire e la speranza di scacciare gli Incubi affievolirsi sempre di più. Si chiese che cosa fosse accaduto a quella bambina per avere sogni così brutti. Ma in quel momento non era importante. Doveva tenere duro.
I mostri accerchiarono il Guardiano che perse la presa dello scettro e lentamente si fece sopraffare dai tentacoli e dalle spire. L'ombra era arrivata sino al letto e persino le Fate faticavano a resistere. Una di loro venne risucchiata dal buio, poi un'altra ed infine una terza. Julie si era rifugiata alle spalle di Dillon e miagolava dalla paura. Non le era mai capitato di essere così vicina alla sconfitta. Se gli Incubi avessero avuto la meglio sia lei che Dillon non sarebbero mai più stati in grado di tornare a casa.
Poi, ad un tratto, Sara sorrise.
Una vampata di luce scaturì dal suo volto e l'ombra si estinse di colpo.
Dillon riprese a cantare con forza e il Guardiano spalancò la bocca riprendendo possesso dello scettro. I mostri indietreggiarono sbigottiti. Quando si resero conto che stavano per essere sconfitti tentarono di fuggire ma per molti di loro era troppo tardi. Il Guardiano li aveva già catturati quasi tutti e li stava lentamente trascinando all'interno della sfera. Il piccolo globo trasparente si stava riempiendo di una intensa luce bianca, come se una stella vi avesse preso dimora. Gli Incubi cercarono di divincolarsi dalla presa del Guardiano ma oramai le sua mani erano forti ed enormi e non lasciavano scampo. Solo alcuni lievi brutti ricordi riuscirono a sottrarsi alla magia e svanirono nella notte come nebbia.
In poco tempo dei mostri non rimase più traccia.
Dillon richiamò il guardiano che si ritirò stremato. A quel punto aprì gli occhi e vide la sfera luminosa che pulsava e vibrava intensamente di fronte a lui. Stando attendo a non scottarsi la fece oscillare verso la borsa e la ripose al suo interno, assieme alle altre sfere.
Julie scese da letto e con un miagolio dolce congedò le Fate. Queste si esibirono in un  ultimo volteggio leggero, poi uscirono in fila in cerca dell'aria fresca.
Dillon si sgranchì la schiena e si alzò in piedi. Si chinò per accarezzare Julie poi afferrò la borsa, accorgendosi di quanto fosse pesante.
Sara respirava adagio, stringendo l'orsacchiotto sgualcito. Sorrideva ancora.
"Andiamo a casa?" chiese Dillon.
Julie miagolò appena mentre camminava adagio verso la finestra.

[Questo racconto è ispirato al disegno "The Dreamcatcher" di juliedillon | http://browse.deviantart.com/art/The-Dreamcatcher-39532506]

giovedì 2 maggio 2013



Dreamcatcher

Prima Parte

La mappa abbozzata sul foglietto giallo indicava proprio quella finestra. Dillon accartocciò il pezzo di carta e lo infilò con cura nella tasca dei calzoni, sentendolo scivolare lungo la coscia. Al suo fianco Julie strisciava la coda sulla sacca di cuoio, strabordante di sfere luminose. Era impaziente di tornare a casa. La notte stava finendo e lei sapeva che quella era l’ultima visita.
Dillon spinse adagio la finestra, che era aperta come da istruzioni, e sorrise compiaciuto. Non sempre la lasciano aperta, anche se viene detto loro, e quando accade vi è sempre il rischio di svegliare chi dorme nella stanza.
Il tappeto che ricopriva il pavimento di legno era soffice e caldo. Dillon ne apprezzò la morbidezza sotto i piedi nudi e pensò che anche Julie doveva provare la stessa sensazione.
La stanza era ordinata e accogliente. Pupazzi e giochi erano adagiati con cura su sedie e mensole o su qualche cassa colorata. I libri risposavano nella piccola libreria accanto al letto. La porta era chiusa, come da istruzioni. Nel letto accanto alla porta Sara dormiva stringendo un orsetto sgualcito.
Dillon si guardò attorno osservando le pareti e il soffitto per capire da dove sarebbero arrivati. La parete dietro il letto era rivestita di assi e quella accanto era stata saggiamente dipinta di celeste, colore che notoriamente li tiene lontani.
“Arriveranno da lì” disse Dillon a bassa voce, indicando la parete opposta a quella celeste. Julie miagolò, per segnalare che era d’accordo.
Dillon si sedette ai piedi del letto, appoggiando la borsa sul tappeto rosso e Julie vi si accovacciò accanto, osservando un punto a mezz’aria dove ancora non vi era nulla.
“Li senti già?” le chiese Dillon.
Julie non emise alcun suono ma tese il corpo, e ciò era segno che erano molto vicini.
Dillon infilò una mano nella sacca ed estrasse una piccola sfera trasparente e vuota. L’appoggiò sulla coperta e si tirò sul capo il cappuccio della casacca marrone, ricamato con piccole stelle dorate. Chiuse gli occhi e prese la sfera tra le mani, in attesa che fosse il momento.