giovedì 16 maggio 2013


Diablo


Mettendo a posto un po' di cianfrusaglia ammassata in uno scatolone ancora dal trasloco ho ritrovato un pezzo di canna di bambù con attaccato un bigliettino. Erano anni che non mi capitava di tenere in mano quell'oggetto ma di certo non avevo dimenticato cosa fosse.
Francesco era magro e aveva gli occhi chiari, i capelli sparati e delle movenze da giocoliere, da funambolo. Aveva sempre qualcosa in mano con cui giocherellare e per ogni argomento sapeva una storia strana o un mistero da raccontare.
Lo conoscemmo un'estate di tredici anni fa quando decise di venire con noi in route perché il suo clan quell'anno non sarebbe partito dato che, a parte lui, lavoravano tutti in riviera. Aveva uno zaino abbastanza piccolo ma carico di giochi. Frisbie, palline, clavette e diablo. Ogni volta che ci fermavamo tirava fuori le stecche e iniziava a giocare, lanciando il diablo in aria, rischiando più volte di perderlo in qualche crepaccio. Se ti vedeva in vena ti coinvolgeva in qualche piccola acrobazia, facendoti fare capriole o chiedendoti di sorreggerlo per una torre umana. Era il più giovane di noi e decisamente fuori contesto, ma  alla fine della spedizione ci eravamo affezionati ed avevamo imparato a comprendere il suo modo di fare, a volte apparentemente invasivo o fuori luogo, ma sempre sincero e vitale.
Pochi mesi dopo una macchina contromano centrò in pieno il risciò sul quale stava facendo un giro con altri ragazzi.
Andammo al funerale tutti in uniforme, per salutare un amico, anche se lo avevamo conosciuto da poco. La chiesa era strapiena. A metà della cerimonia la piazza venne invasa da un corteo rumoroso di saltimbanchi e giocolieri, che battevano sui tamburi e cantavano e lanciavano piccoli razzi, gonfiavano palloncini e si esibivano in numeri da circo. In chiesa era quasi impossibile comprendere cosa stesse dicendo il prete e la gente era infastidita.
Poi prese la parola il frate che ci aveva accompagnato in route, e che da alcuni anni assisteva il nostro clan, e disse una cosa che in realtà molti di noi pensavano ma avevano timore ad ammettere.
Non dovevamo essere arrabbiati per la festa che rimbombava da fuori. Non era una mancanza di rispetto ma un segnale che la vita proseguiva. In realtà là fuori c'era Francesco che con il diablo e i trampoli ci invitava ad uscire, a non smettere mai di giocare e di farsi domande, meglio se insolite.
Poco prima avevo preso la parola io, a nome del clan, e avevo pensato la stessa cosa ma avevo avuto timore a dirla e alla fine avevo tirato fuori le solite cose da funerale. Mi ripromisi di non perdere mai più l'occasione per dire quello che pensavo.
Mossi dalle parole del frate, lentamente la gente uscì dalla chiesa e si fece prendere dalla festa. Iniziammo a cantare e a ballare mentre la cerimonia volgeva al termine. Francesco sarebbe stato contento.
No, in realtà questo non successe ma l'atmosfera mutò all'improvviso. La cerimonia si concluse senza patemi e al termine ad ognuno venne consegnato come ricordo il pezzo di bambù con il bigliettino che riportava una preghiera. Rispetto a quasi tutte le altre cose trovate nello scatolone credo che questa la terrò, come monito e talismano.

Nessun commento:

Posta un commento