giovedì 30 agosto 2012


Carta

Ricordo che ogni tanto caricavamo dei pacchi di carta e cartone sul Fiat 238 blu e andavamo poco fuori città a smaltirla e a prendere due soldini. Io salivo dietro, a volte in mezzo alla carta, e ci ballavo in mezzo fino a quando non arrivavamo a destinazione. Lì scendevo perché il furgone doveva andare sulla pesa e mentre aspettavo che scaricassero, mi mettevo a frugare tra le montagne di giornali, riviste, scatoloni e libri. Una delle cose più divertenti era scalare quelle montagne, fin dove riuscivi, e poi lasciarsi cadere, rotolando di nuovo fino a terra.
Un giorno mi metto con mio padre ad esaminare una catasta di libri, pronti per il macero. C'è di tutto: romanzi, libri per bambini, testi scolastici... Ad un certo punto mio padre mi allunga un libro dalla copertina giallognola sulla quale campeggiava un predone in piedi su una barca, con il volto coperto da un elmo scuro e un mantello nero svolazzante. Il titolo, in caratteri gotici recitava “Traversata Infernale”. L'angolo in basso a destra diceva: “É un librogame il protagonista sei tu!”
Avevo già letto alcuni libri, molti dei quali fantasy, ma non avevo mai sentito parlare dei librigame.
Tornato a caso lo leggo e ci gioco subito. Qualche giorno dopo torniamo alla discarica e io mi metto a cercare in mezzo al mare di carta nella speranza di trovarne un altro. In vano.
Allora andiamo dal libraio amico di famiglia e mi dice che esistono molte serie di librigame! Ma io volevo quella e scopro che il libro che avevamo trovato era il numero 2. Ma il numero 1 era esaurito, bisognava attendere la ristampa. Comprammo quindi il n.3 e tutte le settimane tornavo a prenderne un altro. L'edizione non era la stessa del mio numero 2, ma mi accontentai pur di averli tutti. Il numero 1 tuttavia tarda ad arrivare. Solo quando ho finito la prima serie riescono a procurarmelo e ci metto una vita a leggerlo tutto, me lo godo con lentezza, scoprendo precocemente la magia del prequel. Ancora oggi quei libri sono tutti in fila, nello scaffale della casa in montagna, la costa scura con la linguetta blu, tranne il numero 2, giallo e scolorito, trovato tra la carta straccia.

giovedì 23 agosto 2012


Gracchi

Tiberio Sempronio e Gaio Sempronio Gracco, di origine plebea per parte di padre e discendenti di Publio Cornelio Scipione Africano per parte di madre, godettero di una folgorante lungimiranza. Semplificandone gli intenti si può dire che le loro riforme fossero tese alla ridistribuzione della terra tra i nullatenenti (sottraendola ai patrizi latifondisti) e alla concessione della cittadinanza romana ai latini (e di quella latina agli italici). Come dire: più lavoro e più diritti (e doveri) per tutti. Il fatto che prima uno e poi l'altro siano stati duramente osteggiati la dice lunga sul fastidio delle loro proposte. Tiberio morì per le percosse durante uno scontro in Senato e Gaio, secondo la ricostruzione più accreditata, si fece uccidere da un servo, braccato al Gianicolo dopo una lunga fuga dai suoi oppositori. Assieme a loro morirono centinaia di cittadini che li appoggiarono e li difesero. Era la fine del secondo secolo avanti Cristo. Da allora sono passati più di duemila anni. O forse no.

giovedì 16 agosto 2012

La panache

Eravamo seduti in un bar di periferia, un posto carino anche se ai margini della zona industriale, e stavamo sorseggiando un aperitivo all'aperto, sotto gli ombrelloni. Al tavolo c'era anche un amico di famiglia di vecchia data, svizzero quasi apolide, girovago, multilingue, alto, magro, riccio, profilo un po' francese ma non troppo, con un'amica conosciuta a Rimini ad un convegno, straniera non ricordo di dove. Pertanto la conversazione verteva sulle differenze culturali tra i vari Paesi. Ad un tratto partono le critiche sugli italiani, ma le accettiamo di buon grado e con il sorriso sulle labbra. L'amico svizzero poi, citando un suo collega, dice una cosa che mi è rimasta impressa: “Gli italiani saranno anche inaffidabili, ritardatari, sporchi, individualisti... Però hanno la panache.” che letteralmente è la piuma del cappello o dell'elmo, ma dopo Enrico IV di Francia e Cyrano de Bergerac è diventata sinonimo di "estro", "maniere sgargianti" ma anche di "avventato coraggio". E poi suona proprio bene, soprattutto se si strascica il suono “sh” e si fa roteare la mano aperta sopra la testa, gesticolando come un guitto. La panashhhhhhh.... 

giovedì 9 agosto 2012


Tu dovresti scrivere

Avevo quasi rimosso questo episodio, poi di colpo mi è tornato in mente, grazie ad una biglia. 
Stavo tornando alla macchina dopo una serata con amici quando ne vedo una al bordo del marciapiede e la raccolgo. E all'improvviso mi sono ricordato di quella volta.
Era la fine degli anni novanta e lavoravo come maschera e tutto fare al Festival del Teatro di Figura di Cervia. In un momento di pausa, in un tardo pomeriggio di agosto, interrompo il mio giro di attacchinaggio e mi infilo in una stanzetta buia dove era stata allestita un'opera d'arte interattiva. Panni neri e spessi alle pareti, al centro un lungo tavolo sul quale era sistemata una vasca di latta bassa e ripiena di un liquido biancastro, simile al latte, cosparso di biglie di vario diametro e materiale. La vasca era illuminata dall'alto da una luce intensa che quasi accecava rifrangendosi sulla latta e sul liquido marmoreo. Alcuni microfoni, collegati alla base del tavolo, riproducevano, con un leggero ritardo, il suono provocato dalle biglie lasciate cadere nella vasca. Ogni colpo produceva dunque due suoni, il secondo dei quali dotato di un certo riverbero.
Entro da solo ed inizio a giocherellare con le biglie. Ne prendo alcune più piccole di legno, altre più grandi di metallo ed inizio a farle cadere a intervalli regolari, tirandone fuori un ritmo ed una melodia primitive.
Dopo un paio di minuti sento una voce dietro di me che dice: "Tu dovresti scrivere."
Mi volto e vedo un uomo brizzolato e ben sbarbato, sulla cinquantina, vestito di nero che, senza guardarmi, si avvicina al tavolo ed inizia anche lui a "suonare". Mi faccio da parte e lo osservo. Mi chiede come mi chiamo, e io rispondo. Che scuola faccio, e rispondo. Se ho mai scritto. Dico sì, qualcosa. Per qualcuno? No... Mi avvicino anche io e ricomincio a giocare con le biglie. Suoniamo insieme, viene fuori qualcosa di molto simile al funky. Ad un tratto ci fermiamo e lasciamo le biglie a rotolare nella vasca. Ci guardiamo, lui annuisce e se ne va.
Esco poco dopo ma non lo vedo più. Per un po' penso che faccia parte della performance artistica, o che sia uno scherzo. Invece no, è proprio così, sembra la scena di un film. Riprendo la gazzella e proseguo il giro ad attaccare volantini, e per tanti anni me lo scordo. Mannaggia.

giovedì 2 agosto 2012


Superga

Il trenino a cremagliera sale a piccoli scatti lungo il pendio. Lentamente la città emerge dagli alberi nuovi e dai palazzi di periferia e riempie l'orizzonte. La piccola stazione di Sassi svanisce dietro la curva e ci inoltriamo nel boschetto che fiancheggia la strada sinuosa.
È una limpida giornata di inizio maggio e ci godiamo lo spettacolo delle montagne sulle quali resiste ancora un po' di neve e della valle dell'alto Po, che spiana il paesaggio verso sud.
Su questa collina nel 1706, il duca Vittorio Amedeo II e il Principe Eugenio di Savoia-Carignano fecero un voto alla Madonna affinché concedesse loro la vittoria contro i francesi. L'enorme santuario che oggi si staglia contro l'azzurro pastello è un segno evidente di quel miracoloso dono.
Poco più sotto, lungo un sentiero ricoperto di ghiaia, è situato un altare in ricordo del Grande Torino, che contro queste rocce vide finire il proprio mito, esattamente sessant'anni prima. Non sapevamo fosse il giorno dell'anniversario, ma la grande affluenza di gente ci fa comprendere la ricorrenza.
L'altare è molto semplice: una base di granito ed una lastra bianca di marmo, recentemente restaurata. Assomiglia alle lapidi della guerra, con i medesimi nomi in colonna, solamente che invece di fanti e ufficiali vi sono i nomi di dirigenti e giocatori.
L'atmosfera è commovente e ci coinvolge, anche se non siamo del luogo e quasi ignoriamo la vicenda, di cui sapiamo poco. Attorno a noi le persone si abbracciano, piangono, portano fiori e ceri accesi. Ci sentiamo un po' nel mezzo in quel dolore privato, di familiari, figli e soprattutto nipoti, giovani tifosi.
Ci abbracciamo anche noi e osserviamo in silenzio.