giovedì 25 aprile 2013



Cancello
Etimologia della parola

In zoologia incrocio tra un canide e uno strumento a corde quale il violoncello. Questo animale, secondo la tradizione popolare "il miglior amico dei direttori d'orchestra", viene spesso utilizzato dall'uomo per guidare le greggi o sorvegliare le abitazioni. In entrambi i casi svolge il proprio compito emettendo un suono basso e ruvido come lo strisciare di un archetto su grosse corde tese. In altri casi funge da vera e propria chiusura mobile per passaggi di varia entità, montato su cardini o perni anche elettrici.
Quando raggiunge ampie dimensioni è più noto come Gran Cancello, ma questo esemplare si trova quasi esclusivamente nell'Asia Orientale ed è in ogni caso in via di estinzione. Più diffuso anche in occidente è invece l'esemplare più piccolo, detto "Cancellino", che viene utilizzato per pulire le lavagne, grazie alla sua pelliccia spesso molto folta, oppure per delimitare piccoli cortili.

giovedì 18 aprile 2013


Catarsi

Evidentemente aveva un gran bisogno di ridere. Non che il film fosse drammatico, ma di certo non era comico, magari a tratti ironico, un po' surreale a volte, ma non da ridere.
Eppure la signora seduta due file dietro di noi si sbellicava a cadenza regolare, ogni cinque o sei minuti, su scene o battute che tutt'al più potevano generare un sorriso. Invece lei esplodeva in una risata grassa e fuori luogo che copriva parte dei dialoghi e traviava l'atmosfera del film, a suo modo anche drammatico. Fastidiosa. Prima un po', poi decisamente fastidiosa.
All'intervallo mi alzo e con noncuranza scruto la platea alle mie spalle per capire chi sia. Sbircio anche le occhiate e i gesti che si scambiano i nostri vicini, che probabilmente stanno commentando la stessa cosa, ma non riesco ad individuarla. Potrebbe essere la signora con i capelli rossi arruffati o quella vestita bene con la collana di perle che ora non parla perciò non riesco ad associarla ad un timbro di voce (anche se la risata era talmente esagerata che probabilmente non c'entra nulla con il timbro normale).
Il film ricomincia e mi siedo, sperando si sia sfogata. E invece prosegue, più divertita di prima. Attorno a noi sento rumoreggiare la gente che si lamenta ma nessuno ha il coraggio di dirle nulla. Se parlasse col vicino lo farei io, ma ad una risata cosa vuoi dire? Non la puoi mica controllare. O meglio, puoi ma sarebbe un po' crudele chiederle di non ridere. Mi viene in mente che una mia cara amica, che non vedo da un po', ha la stessa potente risata e una volta al cinema con lei ricordo che mi vergognai, poi mi passò ed iniziai a ridere sguaiato anche io. Decido quindi di mettermi nei suoi panni e provo a farmi coinvolgere. Piano piano la gente inizia a ridere della sua risata e il film prende una piega comica che forse non ha. Chissà come sarebbe rivederlo in silenzio. Uscendo dalla sala ci guardiamo attorno, cercando per lo meno di individuarla. Scendendo le scale forse capiamo chi è perché ride con il marito e la risata assomiglia, anche se non ne siamo sicuri. Ci guardiamo anche noi e sorridiamo. In fondo ci siamo divertiti.

giovedì 11 aprile 2013



Cosa trovò Leo quando entrò nella grotta che aveva scovato al centro di un bosco da secoli imperturbato e che egli aveva osato sfrondare alla ricerca della spada magica che gli avrebbe permesso di sconfiggere lo stregone che da anni tiranneggiava sulla contea dove viveva e che aveva provato a ribellarsi ma era riuscita solamente a far infuriare ancora di più lo stregone che per questo aveva punito il popolo con una maledizione che li aveva resi muti e sordi e dunque costretti a usare gesti e immagini per comunicare e per continuare una vita normale e in segreto preparare la fuga di Leo, unico in grado di portare a termine la missione grazie alla sua intelligenza e alla furbizia, poiché queste erano le sue doti, non aveva certo la possanza dalla sua, che gli avrebbero permesso di rintracciare l'arma preziosa e tornare in segreto per sfidare lo stregone il quale secondo la leggenda nulla avrebbe potuto contro quella lama, forgiata con le lacrime del fratello che egli esiliò dal regno molti secoli prima e che su di lui giurò vendetta che tuttavia non poté mai compiere poiché morì di vecchiaia mentre il fratello sopravviveva ai decenni grazie alle sue pozioni e agli incantamenti, i quali lo avevo reso sapiente ma spietato, dotto ma terribile e sanguinario tanto che ogni uomo o donna o bambino si augurava la sua sconfitta per poter tornare finalmente ad una vita libera?

Niente.

venerdì 5 aprile 2013


Cappotto

Avevo comprato un cappotto usato in un negozio di Roma, vicino al Pantheon, nel quale andavo spesso. Mi ricordava tanto un cappotto che avevo una volta ma che non ricordo come avevo smarrito, o forse lo avevo dato via perché non lo mettevo più. Ero molto contento del mio acquisto e tornai a casa di buon umore quel giorno.
Nei mesi successivi tuttavia misi poco quel cappotto. Non so, non mi piaceva più come quando lo avevo comprato, non mi ci vedevo più. Ogni tanto lo vedevo lì appeso, mi obbligavo quasi a indossarlo, ma poi rinunciavo, sentendomi in colpa.
Qualche rara volta lo mettevo, per andare a qualche festa a tema, ma mi sentivo sempre a disagio. Dopo qualche tempo notai che addirittura mi ammalavo ogni volta che lo indossavo, e io non mi ammalo spesso. Un raffreddore, la febbre, una lieve polmonite, una o due volte all'anno mi capitava qualcosa e succedeva sempre quando indossavo quel cappotto!
Un giorno, dopo averlo ritirato dalla lavanderia, mi accorsi che aveva una taschina nascosta nella fodera, all'altezza del cuore. Infilai due dita dentro il taglio, ci passavano appena quelle, e trovai un pezzetto di cartone umidiccio con scritto sopra un indirizzo, quasi illeggibile. Lessi l'indirizzo alcune volte poi gettai il cartoncino e non ci pensai più.
Dopo qualche tempo, forse un anno, mi trovai a passare per un quartiere nel quale non andavo mai e quando trovai la via che stavo cercando mi tornò in mente che era la stessa segnata su quel cartoncino. Tornando a casa decisi di allungare un po' il giro per passare di fronte a quell'indirizzo e vidi che si trattava di una macelleria. Senza sapere bene perché decisi di parcheggiare ed entrare. C'era una signora che stava pagando alla cassa e uscì poco dopo. Il macellaio, un signore sulla sessantina, mi sorrise, chiedendomi cosa volessi. Io non volevo nulla e allora lui mi chiese se mi servivano indicazioni. Dissi di no e gli spiegai che avevo trovato l'indirizzo di quel luogo in un vecchio cappotto e che siccome ero da quelle parti avevo deciso di fermarmi un momento.
Quando nominai il cappotto il macellaio, fino a quel momento gioviale, si fece di colpo serio e si affrettò a salutarmi, augurandomi buona giornata. Perplesso tornai a casa e per un po' dimenticai quell'episodio.
Tornato da quelle parti qualche settimana dopo per una commissione notai che la macelleria aveva chiuso e al suo posto c'era un minimarket pakistano. Dispiaciuto decisi di proseguire e mi allontanai, avvilito.
Il cappotto rimase a lungo nell'armadio, fino a quando non lo vide un amico che mi era venuto a trovare e che non vedevo da tanto tempo. A lui stava proprio bene e decisi di regalarglielo, anche se non stetti a raccontargli la strana sensazione che mi dava. Pensavo che fosse solo una mia impressione e non volevo turbarlo.
Circa tre mesi dopo chiesi a quel mio amico del cappotto e mi disse che non lo indossava mai, che da quando glielo avevo dato si era rotto una caviglia, aveva perso il lavoro e la sua ragazza lo aveva lasciato. Gli chiesi se avesse dato via il cappotto e mi disse che lo aveva infilato un uno di quei bidoni per la raccolta di abiti usati.
Cinque anni più tardi tornai nel negozio vicino al Pantheon, nel quale non mettevo piede da tempo. Giravo tra le pile di vestiti senza divertirmi a frugare in cerca di qualcosa di carina come un tempo. Ero turbato dall'inquietante timore di ritrovare quel cappotto appeso da qualche parte. Dopo una ventina di minuti mi rasserenai e trovai un paio di magliette carine, le provai e decisi di comprarle. Andai alla cassa, di nuovo di buon umore, e sorrisi alla cassiera. Pagai e mi diressi verso la porta. In quel momento mi accorsi di aver lasciato gli occhiali da sole in camerino e tornai indietro, sperando che fossero ancora lì. Il camerino era occupato e attesi. Poco dopo uscì un ragazzo sulla trentina, con dei folti baffi e i capelli lunghi, il quale mi fece un cenno col capo per farmi capire che potevo entrare. Gli occhiali erano ancora lì. Li presi e tornai verso l'uscita. Il ragazzo di prima era alla cassa e stava digitando il codice del bancomat mentre la cassiera infilava il suo acquisto in una grande busta di carta rossa.
No, non stava comprando il cappotto.
Ma quel cappotto lo vidi in una foto sul giornale accanto ad un articolo sui senzatetto. Un barbone morto dal freddo lo indossava, steso a terra accanto all'ambulanza.