giovedì 29 novembre 2012


Non ci si lascia di giorno

Nessuno innaffiava più la felce da diversi giorni e il caldo era opprimente. Marta e Andrea avevano i gomiti appoggiati alla balaustra e guardavano la gente passare, quasi venti metri più sotto.
Mi hai molto deluso, sai Andrea?
Perché ti ho lasciata?
No. – rispose Marta, voltandosi verso di lui - Perché lo hai fatto di giorno. Non pensavo che avessi così poca stima di me.
Andrea deglutì, imbarazzato. La decisione e la fermezza che avevano accompagnato il suo studiatissimo discorso di commiato ora facevano compagnia alle foglie secche della felce, che il vento fresco stava sgretolando e trascinando fuori dal balcone.
Marta tornò alla carica.
Luca avrebbe potuto lasciarmi di giorno, Paolo forse. Ma da te non me lo aspettavo proprio. All’alba, al massimo, avrei capito. Ma non così. Cosa ti costava aspettare il buio? – adesso era veramente furiosa. – Così me ne potevo andare piangendo, senza che nessuno mi vedesse, senza dover pensare al sudore sulla fronte o a schivare le vecchiette in bici. Perché bisogna concentrarsi sul dolore, non lo si può perdere, così, perché poi non torna più!
Ecco, adesso inizia a gesticolare, pensò Andrea.
E pensa tornare a casa con mia madre che mi chiede cosa ho fatto e io che le dico niente, e allora lei si incazza con me e litighiamo e io esco. Sì, esco e dove cazzo vado alle due del pomeriggio? Sara è al lavoro, i negozi sono ancora chiusi, non ho abbastanza fame da annegarmi di dolci…
Ok, ho capito, pensò Andrea.
Evidentemente la sua faccia tradiva questa cosa perché Marta interruppe l’arringa e lo guardò, disgustata.
Ti sei persino rotto di starmi a sentire.
Ha ragione, pensò Andrea, e si vergognò.
Sarai contento adesso. Guarda in che situazione siamo!
Perché? In che situazione siamo?
Adesso devo aprire la porta a vetri, tornare di là, prendere la borsa, mettermi le scarpe… Proprio sul balcone di casa tua dovevi dirmelo? – e sbuffando se ne andò, continuando a farfugliare parole che Andrea non poté assolutamente comprendere.
Decise di non seguirla, per salvare quel po’ di faccia che gli rimaneva. La immaginò recuperare la sua roba, mentre continuava a borbottare. La sentì sbattere la porta e scendere di corsa le scale.
Si affacciò di nuovo dal balcone e la vide inforcare la bicicletta e perdersi tra la folla della piazza. In breve tempo non riuscì più a distinguerla.
Il suo cellulare squillò. Un messaggio. Marta.
Potevi almeno seguirmi, per salvare quel po’ di faccia che ti rimaneva.
L’ombrellino rosso di carta conficcato ai piedi della selce si stacco e schizzò oltre la balaustra. Ma non precipitò, o almeno non subito. Il vento fresco lo sorresse e lo portò in alto. Lo fece roteare un paio di volte, aprire e chiudere. Poi giunse la bonaccia.
Sono uno stupido, pensò Andrea, un imbecille!
La prossima volta la lascerò di notte.

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