giovedì 17 gennaio 2013


No golf

Abitavo al n.87 di Craiglockhart Terrace, nella periferia ovest di Edimburgo. Vivevo con due ragazze australiane, una coppia spagnola, un'altra ragazza spagnola, un quarantenne scozzese quasi alcolista e un ragazzo pallidissimo e sempre vestito di nero, del quale non seppi mai nulla e che tutti chiamavamo “Il fantasma”. All'inizio non avevo ancora molta confidenza e siccome ero nettamente l'inquilino più giovane, me ne stavo spesso da solo e mi inventavo cose da fare.
Lungo la strada per tornare a casa con il bus diretto a Torphin passavo sempre accanto ai Brunsfield Links, un piccolo prato nel cuore della città con 18 brevi buche da golf. Al limitare del campo c'era una casetta di legno dipinta di rosso scuro con appese le regole del campo e una piccola mappa delle buche. Ognuno poteva giocare liberamente, purché rispettasse le regole e ovviamente si portasse le proprie mazze e le proprie palline.
Dopo circa due settimane che ero lì, dato che faceva bel tempo, decisi di entrare in un charity shop a caso, e per tre pounds comprai due mazze, un ferro medio e un putter, e due palline.
Andai al campo da golf ed iniziai a tirare le palline. Non avendo mai giocato ero molto scarso, però mi divertivo abbastanza. Alla quinta buca iniziò a piovere di brutto e fui costretto a interrompere la mia prima solitaria di golf. Forse era un segno, forse mi si stava dicendo che non ero ancora pronto per il gioco, nemmeno per i Links.
Nei giorni seguenti decisi quindi di allenarmi e siccome proprio di fronte a casa c'era un'enorme prato ben curato, mi misi a tirare palline, per ore ed ore. Passai così alcuni pomeriggi fino a quando non mi sentii pronto per tornare ai Links.
Ad un tratto, quando avevo deciso di fare gli ultimi tiri (oramai riuscivo a lanciare con precisione oltre i trenta metri) vedo un ragazzo ben piazzato tutto vestito di bianco, con i guantini e la coppola che mi corre incontro dall'altra parte del prato, saranno stati trecento metri, agitando le braccia e urlando qualcosa. Io non capisco e piazzo un altro lancio. Vado a recuperare la pallina e quando torno indietro l'uomo mi ha quasi raggiunto. Ora capisco cosa mi sta urlando: “No golf! No golf!”. Quando vede che ho finalmente sentito si ferma e mi guarda, ma è ancora a un centinaio di metri. Io che non capisco perché non posso lanciare gli urlo “Tell me why?!” e lui, con grandissimo garbo mi urla “It's a cricket pitch!”
Con riluttanza alzo una mano, in segno di scusa, raccolgo le mie palline, recupero anche l'altra mazza e torno verso casa.
Ero contrariato. Per quasi una settimana mi ero allenato e nessuno si era mai presentato a giocare a cricket. Ero sempre rimasto nel bordo del campo, vicino alle case, e da lì nemmeno si vedevano le linee bianche dei campi da quanto ero lontano.
Più tardi scoprii che stavo lentamente dissodando i Craiglockhart pitches, i campi di riserva del Watsonians Cricket Club, che si trovava dall'altra parte della ferrovia. Quella sera riposi le mazze, deciso a trovare un altro prato nel quale allenarmi.
Il mattino seguente vicino alle case dove di solito mi esercitavo campeggiava un cartello con scritto “No golf”.
Vi passai oltre, sbirciando dentro le finestre per vedere se qualcuno mi stesse osservando, se qualcuno mi avesse riconosciuto. Quel cartello era lì per colpa mia.
Non ripresi più in mano le mazze. Non tornai mai più ai Brunsfield Links. Ma ogni giorno li vedevo scorrere accanto al bus n. 10 e ogni giorno mi ricordavo della piantina del parco che avevo piegato e riposto nel cassetto della scrivania. E credo che sia ancora lì.

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